RIPOSO SETTIMANALE

FOTO ANTONINO CUZZOLA
Foto Antonino Cuzzola
Verità: la congruenza di un’affermazione o di un pensiero con la realtà, da cui consegue che un’asserzione può dirsi vera se si riferisce ad un fatto che realmente sussiste.
Questa concezione della verità viene generalmente definita “teoria della corrispondenza”, e coincide sostanzialmente con l’idea della verità che viene offerta dal linguaggio comune. In filosofia, tuttavia, questa definizione non è incontrastata: soprattutto nel XIX secolo si obiettò che non era chiaro come si dovesse intendere la concordanza (rapporto di corrispondenza) tra linguaggio e realtà.
Vere possono essere soltanto entità linguistiche che appaiono in forma di enunciati dichiarativi con un contenuto dotato di significato (proposizioni affermative o negative); espressioni isolate non possono essere dunque né vere né false.
Fulcro delle teorie filosofiche sulla verità è la ricerca di criteri sulla base dei quali si possano distinguere enunciati veri e falsi. I criteri presi in considerazione sono:
a) il consenso di una comunità (di esperti o anche di profani), che stabilisce cosa all’interno della comunità stessa si debba ritenere di volta in volta vero o falso;
b) l’utilità pratica di un’opinione ritenuta vera; in questa prospettiva un enunciato concernente un fatto può definirsi vero se l’ipotesi in relazione con il fatto stesso si dimostra efficace;
c) la coesione interna (coerenza) fra gli elementi di un sistema complesso di enunciati. Sulla base di questo criterio un singolo enunciato appartenente a un sistema di enunciati è vero se è coerente con il sistema e vi si inserisce senza provocare contraddizioni logiche;
d) l’evidenza intuitiva dell’enunciato. In questo caso la verità di un enunciato si fonda sulla sua immediata plausibilità. Tale evidenza riguarda soprattutto enunciati relativi a fatti di immediata verificabilità (osservazioni) nonché principi generali (verità evidenti) e deduzioni di ordine matematico.
Contro ciascuno di questi criteri tuttavia si possono sollevare obiezioni:
a) contro a) depone il fatto che il consenso fra i membri di una comunità può fondarsi su un errore. Il consenso non dimostra la verità oggettiva di un enunciato: la concordanza d’opinione permette di stabilire che cosa è ritenuto vero, ma non di provare che il contenuto affermato realmente corrisponde alla realtà;
b) contro il criterio dell’utilità come garante di verità si può opporre che sicuramente anche errori e inganni possono essere utili e che non si può escludere che opinioni erronee possano originare azioni efficaci;
c) il criterio della coerenza all’interno di un sistema di enunciati non è incontestabile perché per ogni sistema A di enunciati in sé concluso può esistere, relativamente allo stesso oggetto, un sistema B alternativo e altrettanto coerente, eppure in contraddizione col sistema A, situazione tale da presupporre più verità mutualmente incompatibili tra loro;
d) contro il criterio dell’evidenza intuitiva testimonia la possibilità che ogni evidenza sia frutto di inganni.
Risulta chiaro come l’individuazione dei criteri di verità si debba scontrare o con l’eventualità sempre presente di errori e inganni, oppure con la mancanza di univocità dei criteri stessi, come d’altra parte scarsamente univoco appare anche il concetto di verità. Per questi motivi nella filosofia contemporanea predomina la convinzione che non sia possibile indicare criteri universali e immodificabili di verità.
Socrate, che a differenza dei sofisti non chiese mai compensi in denaro per i suoi insegnamenti, non volle affidare i propri insegnamenti alla parola scritta, né fondò scuole filosofiche; agì, come lui stesso affermava, spinto dal suo daímon (il suo “demone” inteso nel significato di “spirito”), una voce interiore che lo incitava alla fedeltà alle proprie convinzioni etiche e alla vocazione filosofica. Si avvalse di un metodo conoscitivo (da lui definito “maieutico”), volto a portare alla luce la verità che ciascuno ha in sé attraverso quello strumento privilegiato che è il dibattito orale; trascorse pertanto buona parte della sua vita nei luoghi pubblici di Atene o nelle dimore degli amici, dialogando con chiunque, ricco o povero, volesse ascoltarlo o interrogarlo. Egli era convinto così di far scaturire da ogni interlocutore una maggiore consapevolezza di sé: “curando le anime” intendeva farle pervenire alla verità e alla virtù.
Relativismo: Posizione filosofica secondo la quale ogni conoscenza è soggettiva, relativa cioè al punto di vista di un singolo individuo, e pertanto non esistono verità assolute in campo epistemologico o principi immutabili in ambito etico, ciascuno giudica il valore di verità di un’asserzione in base alla propria prospettiva conoscitiva.
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